L’IMPORTANZA
DELL’AUTOCOMPASSIONE COME RISORSA DELL’EGO
I bambini i cui genitori sono poco amorevoli,
o eccessivamente ipercritici, denigratorii o autoritari, sovente diventano individui
adulti invischiati in una lotta intrapsichica con la loro autocritica, e spesso
con tutte le difficoltà che possono essere legate anche a un’elevata tendenza
critica o giudicante nei confronti degli altri. Spesso le persone
eccessivamente autocritiche si abituano ad attribuire (anche in mancanza di
prove tangibili) le ragioni di esiti negativi o circostanze poco gradite a una
serie di generalizzazioni fisse o rigide che hanno a che fare con delle loro
caratteristiche negative, piuttosto che con una serie di fattori oggettivi di
causa-effetto. Per esempio, per un individuo intrappolato nella sua
autocritica, un risultato non eccellente a un esame o il suo mancato
superamento, il non superamento di una prova di selezione per un posto di
lavoro, la fine di una relazione, potrebbero trasformarsi in occasioni di grave
auto-biasimo e di grave auto-frustrazione depressiva. In questi casi la voce
interna autocritica potrebbe suggerire frequenti pensieri autocritici di questo
tipo:
•
"Ho avuto una brutta valutazione perché sono un idiota e non valgo
abbastanza, e difficilmente riuscirò a cambiare."
•
"Non sarò mai in grado di ottenere un lavoro decente, perché si accorgono
subito e continueranno a rendersi conto che sono un vero disastro."
•
"Mi ha lasciato perché non c'è niente di buono o di amabile in me. Chi può
biasimarlo/a? "
Ovviamente le personalità sufficientemente
sicure e con un Ego abbastanza armonico e resiliente, generalmente riescono a
capire realisticamente le ragioni dei loro fallimenti e a reagirvi in modo
propositivo, utilizzando il loro spirito autocritico per risolvere i problemi
connessi, interrogandosi su ciò che avrebbero potuto fare diversamente (senza
inutili rimuginazioni) e cosa potrebbero fare per apportare dei cambiamenti
positivi in futuro. Questo purtroppo non accade per quegli individui che hanno
strutturato modelli di attaccamento insicuro, a causa di ripetute esperienze di
abbandono/abuso e di deprivazione emotiva.
Come suggeriscono svariati studi
psicologici, in un individuo la presenza di una notevole tendenza
all’autocritica è spesso il risultato del processo di interiorizzazione,
durante l’infanzia, di una marcata ricorrenza di valutazioni dure e/o abusanti
da parte dei genitori, come pure di una serie reiterata di esperienze di
deprivazione emotiva e di inadeguato supporto accuditivo ed emotivo. Generalmente,
i figli di madri e/o padri aggressivamente critici e giudicanti, in terapia
riferiscono di trovare una notevole difficoltà a sopprimere o attenuare la
propria voce interna autocritica e auto-frustrante, persino con l’aiuto del
terapeuta. Accanto alla pesante eredità di un pervasiva inclinazione a un
malsano senso di colpa e/o di paura-vergogna, le madri anaffettive, o
affettivamente disimpegnate (o “non sufficientemente buone”, come le
chiamerebbe il grande psicoanalista del secolo scorso D. Winnicott), spesso
lasciano in eredità ai loro figli anche un “attaccamento insicuro” e una
notevole difficoltà nella capacità di regolare le emozioni negative.
In ambito psicoterapeutico si è ampiamente
d’accordo sul fatto che l’acquisizione della capacità di auto-compassione ed
auto-accettazione costituisca una strategia efficace per tutti coloro che
cercano di risolvere esperienze traumatiche e crisi irrisolte ascrivibili
all’infanzia, e che hanno bisogno di un aiuto nel tentativo di affievolire (e
nel migliore dei casi mettere a tacere) quella voce interna eccessivamente
autocritica e frustrante (ciò che la psicoanalisi chiamerebbe un “SuperIo”
rigido e frustrante). In aggiunta, una serie di studi ha mostrato che
l’autocompassione supporta la resilienza dell’Ego negli eventi fallimentari, e
sostiene inoltre il processo di cambiamento positivo e di auto-miglioramento.
Ma che cos’è esattamente l’auto-compassione?
Proprio come la compassione comporta una sensibilità per la sorte degli altri,
e conseguenti atteggiamenti e comportamenti di cura e comprensione per queste
persone, allo stesso modo l'auto-compassione rivolge la cura e la comprensione
verso il proprio Sè. La psicologa statunitense K.D. Neff ritiene che l’autocompassione
richiede la capacità di vedere il proprio dolore nel più ampio contesto delle
esperienze dell'umanità, e come parte di
essa: è necessario che si tratti se stessi con la stessa benignità che il
proprio Sé compassionevole offrirebbe agli altri (questa forma di comprensione
è tratta dal buddismo, come probabilmente sapete). Ciò che è importante è che
l’autocompassione non sia qualcosa come l’autocommiserazione, poiché
quest’ultima si concentra su di sé come un Sé separato dagli altri, e promuove
inoltre l’idea di un "povero me", un punto di vista che generalmente
dipinge il Sé come peggio di chiunque altro, e che probabilmente porterebbe la
stessa persona a rafforzare dentro di sé un processo di autoreferenzialità e di
egoismo.
Neff descrive l’autocompassione come
costituita da tre parti, che parafrasando lo stesso autore potremmo descrivere
come:
·
estendere la gentilezza e la comprensione
a se stessi, piuttosto che il giudizio critico;
·
vedere la propria esperienza come parte
della più ampia esperienza umana;
·
mantenersi consapevoli dei propri sentimenti
dolorosi, senza iperidentificarsi con essi.
Tuttavia, per le persone che hanno vissuto
ripetute esperienze di abbandono e deprivazione emotiva genitoriale, non è
semplice applicare tutti e tre questi passaggi, poiché il primo si basa sulla
capacità di amare se stessi, cosa che in queste persone solitamente scarseggia,
il secondo invece si basa sul mito per cui tutte le madri siano buone e
amorevoli, cosa che fa sentire a queste persone un senso di isolamento e
suggerisce di non credere che i loro problemi siano simili a quelli di altre
persone; e infine, la maggior parte delle persone con un attaccamento insicuro
hanno difficoltà a gestire le emozioni negative, cosa che rende loro molto
difficile il terzo passaggio.
Per agevolare un lavoro di
consapevolizzazione e di strutturazione della capacità di autocompassione potrebbe essere utile, come strumento di
introspezione e autoanalisi, il questionario di Neff (il cui focus riguarda “Come
mi comporto tipicamente nei miei confronti nei momenti difficili”), una scala
breve che valuta le proprie capacità quando si tratterebbe di essere
autocompassionevoli. Si può rispondere alle affermazioni di questo questionario
su una scala che va da 1 a 5, dove 1 corrisponde a “quasi mai”, e 5 a “quasi
sempre”. Alla fine non è necessario valutare il punteggio globale del
questionario, piuttosto riflettete sulle vostre risposte (per una valutazione
si rimanda a un lavoro personale di psicoterapia, che sia accompagnato da un
processo terapeutico più ampio).
1.quasi mai 2.un poco
frequente 3.moderatamente
frequente 4.molto frequente 5.quasi sempre
_____1. Quando non riesco in qualcosa che
per me è importante vengo consumato da sentimenti di inadeguatezza.
_____2. Cerco di essere comprensivo e
paziente verso quegli aspetti della mia personalità che non mi piacciono.
_____3. Quando accade qualcosa di doloroso
cerco di farmi una visione equilibrata della situazione.
_____4. Quando mi sento giù, tendo a
sentire come se la maggior parte delle altre persone sono probabilmente più
felici di me.
_____5. Cerco di vedere i miei difetti
come parte della condizione umana.
_____6. Quando sto attraversando un
momento molto difficile, mi concedo la cura e la tenerezza che mi serve.
_____7. Quando qualcosa mi sconvolge cerco
di tenere le mie emozioni in equilibrio.
_____8. Quando non riesco in qualcosa che
è importante per me, tendo a sentirmi solo nel mio fallimento.
_____9. Quando mi sento giù tendo a
ossessionarmi e a fissarmi su tutto ciò che è sbagliato.
_____10. Quando in qualche modo mi sento
inadeguato, cerco di ricordare a me stesso che i sentimenti di inadeguatezza
sono condivisi da una buona parte delle persone.
_____11. Sono disapprovante e giudicante al
riguardo dei miei difetti e carenze.
_____12. Sono intollerante e impaziente verso quegli aspetti della mia
personalità che non mi piacciono.
Poiché la ricerca mostra che
l’autocompassione davvero aiuta le persone ad affrontare i tempi difficili e a
diminuire o fermare il processo di rimuginazione (un’altra delle cose che
spesso affliggono le persone che hanno vissuto esperienze di deprivazione
emotiva o abbandono da parte dei genitori), come si potrebbe cercare di
costruire questa capacità, così da usarla efficacemente per mettere a tacere o
indebolire la voce interna autocritica?
Ecco a seguire alcuni suggerimenti aneddotici,
un po' mediati e derivati da alcune tecniche psicoterapiche e da alcuni
costrutti psicologici, e che potrebbero essere d’aiuto sulla strada per l’auto-compassione.
Nel fare queste cose è importante sforzarsi di utilizzare una buona
elaborazione percettiva, per cui si ricorderà il “perché” ci si è sentiti in un
certo modo, e non il “come” ci si è sentiti: questo è importante poiché pensare
al “come” fa rivivere il momento doloroso, e in relazione allo scopo che qua ci
proponiamo sarebbe inopportuno
(diversamente dal contesto psicoterapeutico, in cui si dispone della
mediazione attenta e qualificata di uno psicoterapeuta che può aiutare ad
elaborare tutte le emozioni che dovessero emergere).
1. Procurati una tua foto di quando eri bambino/a e trascorri un po’ di
tempo con essa.
Guarda quel bambino/a (tu) e vedilo/a come
farebbe un estraneo. Che cosa vedi di simpatico e attirante in lui/lei? Parla con quel bambino e forniscigli un
qualche conforto. E mentre ti trovi lì, chiediti perché qualcuno potrebbe mai
pensare che quel bambino fosse qualcosa di meno che adorabile.
2. Focalizzati su una cosa che ami di te.
Può essere una
caratteristica, per esempio il modo in cui sorridi alle persone o li metti a
loro agio, oppure un talento, una capacità, ma in ogni caso dovrebbe essere qualcosa
di cui ti senti orgoglioso/a. Pensa al riguardo della voce critica e di come
ignora le tue qualità positive. Anche scrivere qualcosa su di te seguendo
questa procedura potrebbe essere utile.
3. Fai dell’auto-compassione un
obiettivo.
Puoi applicarti attivamente per la
realizzazione della tua autocompassione proprio come faresti per raggiungere
qualsiasi altro importante obiettivo: prendi nota dei progressi che fai senza
ripiegare al punto di vista autocritico e frustrante, e ricompensati
piacevolmente per i tuoi successi, così che attui dei costruttivi rinforzi
positivi per te stesso.
4. Chiediti: mostrerò a me stesso/a
compassione?
Gli studi mostrano che, contrariamente
alla credenza popolare, le affermazioni non motivano come le domande. Scrivi in
un foglietto la domanda e appendilo in un posto dove lo puoi vedere facilmente
e frequentemente. Ricorda a te stesso che questo è un processo da compiersi
passo dopo passo, e che i piccoli passi vanno bene. Quello che importa è raggiungere
l’autocompassione.
In generale le ricerche in ambito
psicologico hanno suggerito che l’autocompassione può essere un’utile strategia
per la regolazione delle nostre emozioni e quietare la voce interna autocritica
e frustrante. A volte il raggiungimento di questa capacità rappresenta il
traguardo di un processo di crescita psicologica naturale, altre volte, quando
le risorse di un individuo sono bloccate a causa di una costellazione di
fattori psichici legati a una serie di antecedenti evolutivi sfavorevoli,
potrebbe essere necessario un valido percorso di psicoterapia individuale.
Dott. Antonello Viola
Psicologo-Psicoterapeuta
Studio Psicoterapia e Consulenza Psicologica
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