giovedì 2 marzo 2017

La psicoterapia delle dipendenze affettive



La dipendenza affettiva, nota anche come dipendenza emozionale o codipendenza (in particolare la codipendenza risulta essere un modello di dipendenza affettiva più specifico, in cui la persona che ne soffre si orienta verso partner affetti da una grave dipendenza da sostanze, oppure partner marcatamente narcisisti) può essere considerata a tutti gli effetti come una particolare categoria di disturbo dipendente di personalità, in cui ciò che determina la dipendenza è specificamente la relazione di coppia: il fattore essenziale sotteso a questo disturbo è costituito dal tentativo più o meno inconscio della persona che ne soffre di colmare il vuoto intrapsichico sperimentato e la bassa autostima. Questo tipo di disturbo è inoltre fortemente connesso a un forte deficit nella capacità di gestione e modulazione delle emozioni e nella capacità di stabilire vincoli affettivi significativi con altre persone, a causa di un sottostante modello dell’attaccamento marcatamente insicuro (generalmente di tipo “ansioso-preoccupato” o “ansioso-timoroso”). Trattandosi di una tipologia di disturbo di personalità, come tutte le altre categorie di disturbo di personalità anche questo tende a mantenere una struttura relativamente stabile e cronica per l’intero arco di vita della persona, a meno che non venga opportunamente trattato con un adeguato intervento psicoterapeutico. Questo disturbo presenta sintomi vari, che rendono piuttosto difficile la valutazione diagnostica: esso si può accompagnare a una depressione reattiva, a un disturbo ossessivo, opuureanche a un disturbo dell’adattamento, o a un disturbo d’ansia. Nella dipendenza affettiva il dinamismo della personalità è ampiamente governato dalla profonda necessità del partner e dall’intenso timore della perdita e della solitudine, che generalmente finiscono per rendere estremamente difficile e problematico il vincolo affettivo stabilito nella relazione di coppia. Secondo uno studio effettuato in Spagna dalla “Fondazione Istituto Espiral”, questo disturbo avrebbe un’incidenza di circa il 10% nella popolazione adulta, di cui circa il 75% sarebbe costituito da donne. 

Nelle relazioni amorose le persone con dipendenza affettiva manifestano nei confronti del partner un tipo di attaccamento di tipo “ansioso”, e sono fondamentalmente caratterizzate da: una continua e pervasiva necessità di sapere di essere amate dal loro partner e dall’esigenza di costanti conferme; da notevoli difficoltà a svolgere una vita indipendente; dalla ricerca incessante di un partner potenziale per una relazione affettiva (quando non sono impegnate in una relazione sono generalmente pervase dall’angoscia), e da una scelta generalmente precipitosa dello stesso; da un profondo timore di non essere amate; da intense paure di perdita dell’oggetto del proprio amore e gelosie frequenti; da idee contraddittorie sull’amore e sui propri sentimenti; da grandi difficoltà a rompere la relazione anche quando essa sia altamente problematica e generatrice di malessere per la stessa persona dipendente.

Caratteristiche generali della personalità con dipendenza affettiva
  • Forte necessità di stare con il partner, intolleranza alla solitudine.
  • Bassa autostima, che provoca a sua volta una costante necessità di approvazione da parte degli altri, così pure come un grande timore del rifiuto e dell’esclusione sociale.
  • Notevole difficoltà a dire di “no”: si antepongono continuamente i desideri e i bisogni degli altri ai propri.
  •  Il dipendente affettivo generalmente occupa una posizione inferiore (one down) nel rapporto di coppia, sebbene questo non escluda che possa succedere il contrario, giacché esiste anche la “dipendenza affettiva dominante”, in cui la personalità dipendente può palesemente assumere una posizione superiore “one-up”, o una posizione solo apparentemente “onedown”, che in ogni caso le consente di controllare il rapporto.
  •  Sentimenti non risolti di colpa, rabbia, risentimento, isolamento e paura. Tutti questi sentimenti provengono dall’infanzia della persona dipendente, e dalle relazioni che si instaurarono con le figure di accudimento principali.
Così, normalmente le relazioni di coppia delle persone con dipendenza affettiva sono frequentemente molto dolorose, poiché queste sono solite scegliere partner che sembrano paradossalmente incapaci di amarle, spesso persone con un alto grado di egoismo, di egocentrismo e narcisismo: tutto ciò costituisce ovviamente un grande paradosso, dal momento che la personalità con dipendenza affettiva cerca, al di sopra di tutto, di essere amata. Ma il paradosso è spesso prodotto da una scelta impropria della tipologia di partner, la cui determinazione è fortemente condizionata da modelli operativi interni, da schemi mentali inconsci e da una scarsa differenziazione del Sé, la cui eziologia si rifà ai modelli e alle dinamiche relazionali che hanno caratterizzato le prime fasi del ciclo evolutivo.

Per questo motivo generalmente la cura della dipendenza affettiva richiede una psicoterapia sufficientemente lunga e intensiva, che svolga un lavoro analitico del profondo e congiuntamente un lavoro di tipo cognitivo-comportamentale: è indispensabile rielaborare le attribuzioni di significato delle dinamiche relazionali infantili e ristrutturare gli schemi mentali disadattavi e gli atteggiamenti erronei che si sono lentamente costituiti nel corso delle varie fasi evolutive, determinando i tratti dipendenti di personalità e un livello di autostima carente.

Una dipendenza affettiva non curata adeguatamente comporta l’elevato rischio che la persona che ne soffre resti invischiata in una, o in un susseguirsi di relazioni affettive deleterie, il cui corso si rivela fortemente controproducente ed estremamente doloroso per il proprio equilibrio mentale e psicofisico. 

La Codipendenza 

La codipendenza è definita come una condizione psicologica o un relazione in cui una persona è controllata o manipolata da un’altra affetta da una condizione patologica (tipicamente un disturbo narcisistico di personalità o una dipendenza da sostanze); in termini più ampi e generici la codipendenza indica la condizione patologica in cui un individuo dipende dal bisogno pervasivo di essere controllato o di controllare un’altra persona (generalmente il partner). Spesso questa condizione comporta la mancanza di considerazione dei propri bisogni, ai quali viene sistematicamente concessa una bassissima priorità, preoccupandosi invece eccessivamente dei bisogni degli altri, ai quali viene attribuita una grandissima importanza. La codipendenza può verificarsi in ogni tipo di relazione, familiare, lavorativa, amicale, di coppia, e può essere caratterizzata da schemi e meccanismi di negazione, di controllo, da bassa autostima e da eccessiva accondiscendenza (più raramente anche da schemi di evitamento). Le persone affette da disturbo narcisistico di personalità, o con tratti marcatamente narcisistici, rappresentano delle potenti calamite per le persone codipendenti. 

In generale la codipendenza consiste in una costellazione di comportamenti, pensieri e sentimenti che vanno oltre il normale livello di autosacrificio o di accudimento. Per esempio, la genitorialità comporta l’assunzione di ruoli che richiedono un certo grado di autosacrificio e di attribuzione di elevata priorità ai bisogni dei figli, e ciononostante un genitore non può essere considerato codipendente nei confronti dei figli, a meno che la sua funzione accuditiva e il grado di sacrificio genitoriale non raggiungano livelli malsani e autodistruttivi. Generalmente un genitore che si prende cura anche dei propri bisogni (emotivi e fisici) in modi sani, costituisce un buon genitore, mentre il genitore codipendente può essere meno efficace, e addirittura cagionare conseguenze negative ai figli. Un aspetto discriminante rispetto alla natura dei bisogni dei bambini è rappresentato dal fatto che, mentre i bisogni emotivi e di dipendenza infantili sono necessari ma temporanei, i bisogni della persona codipendente sono costanti e pervasivi.

Spesso le persone codipendenti assumono il ruolo di martire, e collocano costantemente i bisogni degli altri prima dei propri: nel fare ciò frequentemente dimenticano di prendersi cura di se stesse. Questo, comunque, conferisce alle persone codipendenti la soddisfazione del sottostante bisogno pervasivo di essere “necessarie”, placando il profondo timore di essere sole e l’intensa paura che nessuno abbia bisogno di loro. Le persone codipendenti sono inoltre costantemente alla ricerca di accettazione e di approvazione. Quando si tratta di argomentare qualcosa, generalmente esse tendono ad assumere la posizione di vittime, e quando rivendicano qualcosa per se stesse, solitamente si sentono in colpa. Ovviamente la codipendenza non si riferisce a tutti i comportamenti o sentimenti accuditivi, ma soltanto a quelli che presentano una chiara connotazione eccessiva e malsana. L’altra faccia della codipendenza, ovvero la problematica esattamente opposta, è la “controdipendenza”: da un punto di vista della “teoria dell’attaccamento” o anche delle “relazioni oggettuali”, potremmo dire che per una persona controdipendente (quindi compulsivamente autocentrata e autosufficiente, compulsivamente autoreferenziale) il raggiungimento di un sano livello di dipendenza da una qualche sorgente oggettuale al di fuori dal Sé, possa certamente essere considerato un progresso personale o un successo psicoterapico. Ma per ritornare alla codipendenza, a seguire vengono elencati gli schemi e le caratteristiche fondamentali che possono costituire altresì dei parametri di autovalutazione: in questi schemi sono implicati una serie di meccanismi di difesa inconsci, caratteristici della struttura di personalità del codipendente, e aventi lo scopo di evitare o gestire sentimenti intensi e minacciosi, e/o mantenere l’autostima. 


Schemi di negazione:

  • Ho difficoltà a individuare ciò che sento.
  • Minimizzo, altero o nego come mi sento veramente.
  • Mi percepisco come totalmente altruista e dedito al benessere degli altri.
  • Manco di empatia per i sentimenti e i bisogni degli altri.
  • Etichetto gli altri coi miei tratti negativi.
  • Posso prendermi cura di me stesso/a senza alcun aiuto degli altri.
  • Maschero il mio dolore in vari modi, occultandolo con la rabbia, l’umorismo, l’isolamento.
  • Esprimo il mio dissenso o l’aggressività in modi indiretti e passivi.
  • Non riconosco l’indisponibilità di quelle persone dalle quali mi sento attratta.

Schemi di accondiscendenza:

  • Sono disposto/a a sacrificare i miei valori e la mia integrità pur di evitare il rifiuto e la rabbia degli altri.
  • Sono estremamente solidale, e resto in situazioni dannose troppo a lungo.
  • Considero le opinioni e i sentimenti degli altri più dei miei, e ho paura a esprimere e sostenere personalmente opinioni e sentimenti che divergano da quelli degli altri.
  • Metto da parte i miei interessi e hobby allo scopo di fare ciò che gli altri vogliono.
  • Accetto il sesso o le attenzioni sessuali quando in realtà voglio affetto.
  • Prendo decisioni senza considerare le conseguenze.
  • Rinuncio alle mie posizioni per ricevere l’approvazione degli altri o per evitare il cambiamento.

Schemi di bassa autostima:

  • Ho difficoltà a prendere decisioni.
  • Giudico duramente tutto ciò che penso, dico o faccio, non ritenendolo mai “abbastanza buono”.
  • Mi sento imbarazzato/a a ricevere lode, riconoscimento o regali.
  • Non chiedo agli altri di soddisfare i miei bisogni e i miei desideri.
  • Considero l’approvazione altrui di ciò che penso e sento, e di come mi comporto, al di sopra della mia.
  • Non mi percepisco come una persona amabile e meritevole.
  • Ricerco costantemente il riconoscimento che penso di meritare.
  • Sono geloso/a delle relazioni delle persone da me amate, volendole avere tutte per me.
  • Ho difficoltà ad ammettere che ho sbagliato.
  • Ho bisogno di dare una buona impressione agli altri, e sono persino disposto/a a mentire per questo.
  • Mi percepisco inferiore agli altri.
  • Mi aspetto che gli altri mi diano un senso di sicurezza.
  • Ho difficoltà a iniziare le cose, a soddisfare le scadenze e a completare i progetti.
  • Ho difficoltà a definire delle sane priorità.

Schemi di controllo:

  • Credo che gli altri, per la maggior parte, siano incapaci di prendersi cura di se stessi.
  • Cerco di convincere gli altri di ciò che “dovrebbero” pensare e cosa dovrebbero “veramente” sentire.
  • Mi sento risentito/a quando gli altri non mi consentono di aiutarli.
  • Offro liberamente consiglio e direzione agli altri, senza che mi venga chiesto.
  • Elargisco regali e favori a coloro a cui tengo.
  • Uso il sesso per guadagnare l’approvazione e l’accettazione.
  • E’ necessario che gli altri abbiano “bisogno” di me se devo avere una relazione.
  • Pretendo che gli altri soddisfino i miei bisogni.
  • Uso il fascino e il carisma per convincere gli altri della mia capacità accuditiva e compassionevole.
  • Faccio leva sulle emozioni della vergogna e della colpa per sfruttare emotivamente gli altri.
  • Mi rifiuto di cooperare, venire a compromessi o negoziare.
  • Adotto un atteggiamento di indifferenza, impotenza, autorità o ira per manipolare gli esiti.
  • Ho schemi di pensiero ossessivi e compulsivi che non mi consentono di concentrarmi sulle attività quotidiane.
  • Faccio finta di essere d’accordo con gli altri per ottenere ciò che voglio.

Schemi di evitamento:

  • Agisco in modi che invitano gli altri a esprimere rifiuto, vergogna, o rabbia nei miei confronti.
  • Giudico duramente ciò che gli altri pensano, dicono o fanno.
  • Evito l’intimità emotiva, fisica, o sessuale, come mezzo per mantenere la distanza.
  • Consento alla mia dipendenza dalle persone, luoghi e cose, di distrarmi dal raggiungimento dell’intimità nelle relazioni.
  • Uso una comunicazione evasiva e indiretta per evitare il conflitto o il confronto.
  • Diminuisco la mia capacità di avere relazioni sane evitando l’uso di tutti gli strumenti che potrebbero consentirmi un recupero.
  • Sopprimo i miei sentimenti e i miei bisogni per evitare di sentirmi vulnerabile.
  • Attraggo gli altri verso di me, ma quando questi si avvicinano li respingo.
  • Credo che manifestare le proprie emozioni sia un segno di debolezza.
  • Trattengo le mie espressioni di apprezzamento.

Gli effetti controproducenti di una codipendenza non curata

Gli schemi non risolti della codipendenza possono condurre a problemi molto seri, come alcolismo, dipendenza da sostanze stupefacenti, disturbi dell’alimentazione, dipendenza dal sesso, e altri comportamenti controproducenti o autodistruttivi. Inoltre, le persone che abbiano sviluppato una personalità codipendente hanno più probabilità di attrarre nella loro vita ulteriori abusi da parte di persone aggressive, di restare invischiate in lavori o relazioni altamente stressanti, sono più inclini a non cercare un aiuto medico quando vi sia bisogno, e meno orientate verso il perseguimento di obiettivi importanti e promozioni. Per alcuni codipendenti, l’insicurezza sociale causata dalla stessa codipendenza potrebbe sfociare in un vero e proprio disturbo d’ansia, come una fobia sociale, o un disturbo d’ansia generalizzato, oppure anche in un disturbo evitante di personalità, o una grave sindrome depressiva, o in una patologica e dolorosa timidezza.

Come nel caso della dipendenza affettiva, anche la codipendenza, costituendone comunque una sua tipologia specifica, richiede un intervento psicoterapico sufficientemente lungo e intensivo, grazie al quale si possa lavorare psicodinamicamentesu conflitti, meccanismi di difesa immaturi, atteggiamenti erronei, modelli operativi interni dell’attaccamento insicuri, e contestualmente si possa condurre un lavoro di tipo cognitivo sugli schemi mentali disadattivi che sostengono i tratti di personalità dipendenti e masochistici. Sovente, alla dipendenza affettiva e alla codipendenza si associano anche nuclei molto marcati di personalità ossessiva e istrionica, oltre che quelli dipendenti e masochistici che generalmente ne costituiscono l’asse portante.


Nel mio studio la dipendenza affettiva e la codipendenza vengono affrontati e trattati psicoterapeuticamente nel contesto di un approccio di psicoterapia integrativa, che tenga conto della dimensione olistica individuale, dell’incidenza degli antecedenti evolutivi, degli schemi di attaccamento insicuro e dei tratti di personalità che sostengono i patterns di dipendenza, nel tentativo di determinarne un depotenziamento progressivo e un livello di adattamento relazionale sempre più funzionale.

 
Studio Psicoterapia e Consulenza Psicologica Dott. Viola
Sito web: www.psicologi-psicoterapeuti-cagliari.it
Contatta lo studio: 3200757817 (anche whatsapp)
e-mail: antonello.viola@gmail.com 


Bibliografia
  • Antonello Viola (2012). La psicoterapia delle dipendenze affettive. Web: www.antonelloviola.com/psicoterapia-dipendenza-affettiva-cagliari.htm 
  • Jorge Castello Blasco (2005). Dependencia Emocional: caracteristicas y tratamiento. Alianza Editorial.





mercoledì 1 marzo 2017

Cinque modi per rovinare una buona relazione di coppia

 

CINQUE MODI PER ROVINARE UNA BUONA RELAZIONE

Secondo Gwendolyn Seidman, psicologa dell’Albright College University (USA), nelle relazioni la maggior parte delle persone valorizza di più il calore e la lealtà (caratteristiche intrinseche di una relazione) piuttosto che lo status, l’attrazione, o la passione esercitata dai loro partners (cioè, le qualità estrinseche di una relazione). Il calore affettivo e la lealtà sono infatti qualità che si possono trovare soltanto in certe persone, e che si collocano sicuramente alla base di una relazione. Lo status, l’attrazione e la passione, sono invece qualità intercambiabili tra i partners potenziali, e non rappresentano certamente le qualità più importanti delle persone alle quali si tiene di più: se queste caratteristiche estrinseche sono ciò che si cerca precipuamente in un rapporto, meno probabilmente si vedrà il proprio partner, collega di lavoro, o amico/a, per quello che soltanto quella persona può dare e apportare alla relazione.
Quando si crede che la propria relazione sia in equilibrio, mentre in realtà non lo è, inavvertitamente non ci si connette alle caratteristiche intrinseche del proprio partner, si è semplicemente distratti dalle caratteristiche superficiali del rapporto, ad esempio dall’essere abbastanza “attraente” o abbastanza “simpatico” o “divertente” del proprio partner. Si potrebbe commettere l’errore di dare per scontate delle qualità relazionali che dovrebbero avere sempre una priorità speciale, e sulle quali dovrebbero essere fatti continui sforzi affinché vengano costantemente curate e coltivate: a questo punto, persino senza averne alcuna intenzione si potrebbe correre il rischio di distruggere anche una relazione inizialmente perfetta.
Lo studio condotto dalla Seidman suggerisce che, specialmente e particolarmente le persone con tratti elevati di narcisismo sono quelle che hanno la maggiore probabilità di rovinare una buona relazione. Guardando il narcisismo come una “disposizione di personalità”, che può spaziare dal minimo fino al massimo livello in tutti noi, possiamo renderci conto che chiunque potrebbe compiere quelle distrazioni comportamentali che avvelenano un rapporto: ma i tratti narcisistici rendono questa evenienza estremamente più probabile. Avere tratti elevati di narcisismo implica una notevole disposizione ad avere una percezione di  se stessi eccessivamente idealizzata e positiva, e a ritenersi un partner altamente desiderabile, dunque ad assumere che chiunque dovrebbe essere attratto dalla propria persona. Questo dovrebbe significare che si potrebbe iniziare a concepire le persone nella propria vita come qualcosa di scontato, poiché le si vede come intercambiabili ed eventualmente rimpiazzabili con altre persone più attraenti, o che abbiano uno status più elevato, o entrambe le cose.
La Seidman sottolinea inoltre che le personalità con alti tratti narcisistici valorizzano particolarmente gli individui dotati di “intraprendenza”, ad esempio quelli dotati di estroversione, elevata intelligenza e ambizione, mentre non valorizzano la moralità e il calore affettivo, e tendono a cercare la prossimità di persone che percepiscono come dotate di status elevato, poiché questo le fa sentire più a loro agio. Piuttosto che promuovere la connessione e la vicinanza degli altri attraverso l’impegno, le personalità con alti tratti narcisistici tendono ad attuare manovre comportamentali manipolatorie nelle relazioni, generalmente volte ad ottenere il controllo o la superiorità.
La Seidman ha svolto uno studio estensivo consegnando un questionario a 206 giovani adulti, principalmente donne, di cui circa il 70 % erano coinvolte in un rapporto di coppia. Il questionario valutava il narcisismo come un tratto di personalità, e inoltre misurava il grado in cui i partecipanti allo studio valutavano nei loro partner la capacità di calore affettivo/affidabilità, vitalità/attrattiva, e status/risorse.
I partecipanti allo studio hanno inoltre valutato se essi credevano che l'intimità/fedeltà fosse più importante della passione (emozioni-euforia e divertimento), e anche quanto ritenessero soddisfacente il loro rapporto nelle dimensioni soddisfazione, impegno, intimità, fiducia, passione e amore.
Dai risultati emergeva che le persone con marcati tratti narcisistici attribuivano un valore più elevato alle qualità estrinseche dei loro partners, e tendevano a vedere i loro stessi partner come inferiori esattamente nelle stesse qualità. Per questo genere di personalità questo è l’aspetto cruciale del problema nel tentativo di mantenere le loro relazioni nel corso del tempo: come sostiene Seidman, “dati i loro standards ideali, i narcisisti sono più inclini a spingere i loro partners per fare dei cambiamenti nelle qualità estrinseche”. Questo, a sua volta, genera pressione sui partners in relazione a modalità di cambiamento che non sono coerenti coi loro desideri, portandoli di conseguenza a “sentirsi meno felici, poiché il perseguimento di obiettivi intrinseci conduce a un maggiore benessere psicologico”.
Adesso che abbiamo chiarito come gli individui con personalità narcisistica seminano i semi del malcontento nei loro rapporti, adesso vediamo come questo processo disfunzionale potrebbe verificarsi, in assenza di un livello sufficiente di consapevolezza, nelle vostre relazioni. A seguire vengono elencate 5 modalità che potrebbero distruggere i vostri migliori rapporti affettivi:

1.     Fare richieste inflessibili che l’altra persona vive come vostri standards personali piuttosto che suoi: spingendo l’altro a vivere come sua, e dunque nella propria dimensione esistenziale, un’immagine che voi proiettate su di lui/lei come qualcosa di importante, può generare risentimento e malcontento.
 
2.      Fallire nella costruzione della fiducia e della lealtà: le qualità intrinseche focalizzate sulle emozioni, che le persone possiedono, sono necessarie alla formazione di relazioni strette e di lunga durata. Se voi vi focalizzate soltanto sulle qualità superficiali, fallirete nella realizzazione di un legame più profondo.
 
3.   Fissarsi su orpelli esterni più di quanto ci si focalizzi su quello che veramente conta: se vi focalizzate costantemente sulla soddisfazione delle vostre aspettative legate alle caratteristiche estrinseche, piuttosto che alla costruzione di quelle intrinseche nella strutturazione del rapporto, probabilmente dopo un certo tempo demotiverete anche il vostro partner in tal senso. Consentire al partner di esprimere la propria individualità e incoraggiarlo e sostenerlo nella risoluzione dei propri conflitti o dei propri sforzi interiori è sempre molto importante.
 
4.      Violare la fiducia che avete stabilito con il vostro partner: le persone con livelli elevati di narcisismo spesso non valorizzano la fiducia e la lealtà, piuttosto lottano per il raggiungimento dell’approvazione e del riconoscimento. Se il vostro partner o il vostro collega di lavoro percepisce che si può aspettare di essere “gettato da voi sotto un auto in corsa” (metaforicamente si vorrebbe dire che la persona percepisce di non avere importanza e valore per il proprio partner, e dunque che si può aspettare di essere tradito o squalificato in vari modi), questo deteriorerà le fondamenta sulle quali una buona relazione dovrebbe essere costruita.
 
5.      Non riuscire a vedere le proprie debolezze: gli individui con tratti narcisistici elevati hanno standard elevati nelle aspettative verso gli altri, ma frequentemente non applicano gli stessi standards a se stessi. L’incapacità di riconoscere le proprie debolezze e anche il proprio contributo negli aspetti problematici, alla lunga porterà il proprio partner al risentimento per le continue richieste di perfezione.

Molti fattori potrebbero portare alla rottura di un rapporto di coppia, ma queste cinque modalità sono veramente cruciali poiché ne comprendono un buon numero. Anche in altri tipi di relazioni umane, che non siano necessariamente di coppia, come ad esempio relazioni amicali o lavorative, ci si può aspettare che la connessione emotiva e dunque la qualità della relazione venga deteriorata a causa di vari deficit nelle cinque aree di cui discusso precedentemente. Pertanto, concentrarsi sulla progressiva ottimizzazione di tutti gli aspetti che riguardano le caratteristiche intrinseche di un rapporto, può essere una strada funzionale per la costruzione di una relazione solida e per godere di tutti quei benefici che ne derivano.
 

Bibliografia

Gwendolyn Seidman, “Narcissism, intrinsic and extrinsic romantic ideals, and relationship satisfaction”. Journal of Social and Personal Relationships, 33(8), Nov 2015.


DOTT. ANTONELLO VIOLA
Psicologo-Psicoterapeuta
riceve negli studi di Cagliari e Quartu S. Elena
per la psicoterapia individuale e di coppia
Contatta lo studio - telefono e whatsapp: 3200757817
Web: www.psicologi-psicoterapeuti-cagliari.it

venerdì 3 febbraio 2017

Dieci minuti di autoriflessione per meditare su se stessi

 


Quante volte ci capita di sederci o sdraiarci e restare in una condizione di completa tranquillità e quiete, e di ponderare o riflettere su come ci sentiamo, come ci sia andata la giornata e di che cosa abbiamo bisogno? Questo esercizio, molto utile per la propria crescita personale, richiede la capacità di ritagliarsi quotidianamente uno spazio di autoriflessione e introspezione personale: alcune tecniche meditative e/o di rilassamento psico-corporeo (come il training autogeno ad esempio) possono certamente facilitare questo compito, in quanto riescono a creare le condizioni ideali per la definizione di uno spazio meditativo intrapsichico.

A seguire faccio un elenco di quesiti che potrebbero aiutare questo genere di meditazione, e che tutti potremmo porci nell’ambito di un esercizio meditativo quotidiano al termine di una giornata, o semplicemente di notte, prima di dormire: anche soli dieci minuti possono essere sufficienti, dieci minuti impiegati costruttivamente su di se, senza inutili distrazioni, lontani da cellulari, radio, o tv, dieci minuti lontani dalle preoccupazioni del lavoro o dei vari compiti quotidiani. Dieci minuti impiegati a riflettere ininterrottamente sulla propria giornata ed il proprio livello esistenziale, semplicemente sdraiati nel proprio letto, o sdraiati in poltrona, o seduti nella propria scrivania con una luce fioca, o semplicemente seduti in giardino con lo sguardo rivolto al cielo notturno. Dieci minuti dedicati a se stessi e per se stessi.

  1. Come mi sento e cosa sento al riguardo della giornata appena trascorsa?
  2. Che cosa ho imparato, al riguardo di me stesso o di qualcos’altro?
  3. Di che cosa ho veramente bisogno oggi?
  4. Sono riuscito a trovarlo?
  5. Dove sento tensione nel mio corpo?
  6. Qual è stata la mia emozione predominante oggi?
  7. Che cosa sembra essere alla base di questa emozione?
  8. Sono stato generoso con me stesso oggi?
  9. Se non lo sono stato, posso farmi dono di un po’ di compassione adesso?
  10. Che cosa mi ha portato gioia, anche se si è trattato di un semplice istante, o di un granello, di una briciola di gioia?

Ovviamente, a questo elenco di domande se ne potrebbero aggiungere delle altre, o semplicemente potreste mettere a punto il vostro elenco personale, cinque o dieci domande che ritenete possano essere importanti da considerare al termine di una giornata: l’obiettivo di questo esercizio autoriflessivo è quello di creare una connessione tra il nostro Ego e una parte più profonda della nostra individualità, cioè una parte immanente, che a volte viene ignorata, o addirittura totalmente disconosciuta o elusa, il nostro Io immanente.

“I ritmi frenetici che caratterizzano l’organizzazione del tessuto socio-culturale delle società occidentali più evolute, con le loro incessanti sfide, le loro pressioni, le loro routine quotidiane, hanno tendenzialmente determinato un allontanamento progressivo dalla dimensione dell’autoriflessione, dell’introspezione, del profondo contatto e del dialogo con se stessi. L’essere umano contemporaneo si è progressivamente e inconsapevolmente allontanato da questa importante dimensione, spesso alienandosi dalla ricerca e dal contatto con il suo Sé profondo, eludendo pertanto il suo Io Immanente” (Antonello Viola: Psicoterapia Bionomico-Autogena e Io Immanente - Una via verso l'armonia e l'individuazione del Sé, 2012. Amazon.com).

 
 
 
Dott. Antonello Viola
psicologo-psicoterapeuta
Studio Psicoterapia-Consuelenza Psicologica
Sedi Cagliari e Quartu S. Elena
Cell e whatsapp: 3200757817

mercoledì 22 giugno 2016

L’IMPORTANZA DELL’AUTOCOMPASSIONE COME RISORSA DELL’EGO

 


L’IMPORTANZA DELL’AUTOCOMPASSIONE COME RISORSA DELL’EGO

I bambini i cui genitori sono poco amorevoli, o eccessivamente ipercritici, denigratorii o autoritari, sovente diventano individui adulti invischiati in una lotta intrapsichica con la loro autocritica, e spesso con tutte le difficoltà che possono essere legate anche a un’elevata tendenza critica o giudicante nei confronti degli altri. Spesso le persone eccessivamente autocritiche si abituano ad attribuire (anche in mancanza di prove tangibili) le ragioni di esiti negativi o circostanze poco gradite a una serie di generalizzazioni fisse o rigide che hanno a che fare con delle loro caratteristiche negative, piuttosto che con una serie di fattori oggettivi di causa-effetto. Per esempio, per un individuo intrappolato nella sua autocritica, un risultato non eccellente a un esame o il suo mancato superamento, il non superamento di una prova di selezione per un posto di lavoro, la fine di una relazione, potrebbero trasformarsi in occasioni di grave auto-biasimo e di grave auto-frustrazione depressiva. In questi casi la voce interna autocritica potrebbe suggerire frequenti pensieri autocritici di questo tipo:

• "Ho avuto una brutta valutazione perché sono un idiota e non valgo abbastanza, e difficilmente riuscirò a cambiare."
• "Non sarò mai in grado di ottenere un lavoro decente, perché si accorgono subito e continueranno a rendersi conto che sono un vero disastro."
• "Mi ha lasciato perché non c'è niente di buono o di amabile in me. Chi può biasimarlo/a? "

Ovviamente le personalità sufficientemente sicure e con un Ego abbastanza armonico e resiliente, generalmente riescono a capire realisticamente le ragioni dei loro fallimenti e a reagirvi in modo propositivo, utilizzando il loro spirito autocritico per risolvere i problemi connessi, interrogandosi su ciò che avrebbero potuto fare diversamente (senza inutili rimuginazioni) e cosa potrebbero fare per apportare dei cambiamenti positivi in futuro. Questo purtroppo non accade per quegli individui che hanno strutturato modelli di attaccamento insicuro, a causa di ripetute esperienze di abbandono/abuso e di deprivazione emotiva.

Come suggeriscono svariati studi psicologici, in un individuo la presenza di una notevole tendenza all’autocritica è spesso il risultato del processo di interiorizzazione, durante l’infanzia, di una marcata ricorrenza di valutazioni dure e/o abusanti da parte dei genitori, come pure di una serie reiterata di esperienze di deprivazione emotiva e di inadeguato supporto accuditivo ed emotivo. Generalmente, i figli di madri e/o padri aggressivamente critici e giudicanti, in terapia riferiscono di trovare una notevole difficoltà a sopprimere o attenuare la propria voce interna autocritica e auto-frustrante, persino con l’aiuto del terapeuta. Accanto alla pesante eredità di un pervasiva inclinazione a un malsano senso di colpa e/o di paura-vergogna, le madri anaffettive, o affettivamente disimpegnate (o “non sufficientemente buone”, come le chiamerebbe il grande psicoanalista del secolo scorso D. Winnicott), spesso lasciano in eredità ai loro figli anche un “attaccamento insicuro” e una notevole difficoltà nella capacità di regolare le emozioni negative.
In ambito psicoterapeutico si è ampiamente d’accordo sul fatto che l’acquisizione della capacità di auto-compassione ed auto-accettazione costituisca una strategia efficace per tutti coloro che cercano di risolvere esperienze traumatiche e crisi irrisolte ascrivibili all’infanzia, e che hanno bisogno di un aiuto nel tentativo di affievolire (e nel migliore dei casi mettere a tacere) quella voce interna eccessivamente autocritica e frustrante (ciò che la psicoanalisi chiamerebbe un “SuperIo” rigido e frustrante). In aggiunta, una serie di studi ha mostrato che l’autocompassione supporta la resilienza dell’Ego negli eventi fallimentari, e sostiene inoltre il processo di cambiamento positivo e di auto-miglioramento.
Ma che cos’è esattamente l’auto-compassione? Proprio come la compassione comporta una sensibilità per la sorte degli altri, e conseguenti atteggiamenti e comportamenti di cura e comprensione per queste persone, allo stesso modo l'auto-compassione rivolge la cura e la comprensione verso il proprio Sè. La psicologa statunitense K.D. Neff ritiene che l’autocompassione richiede la capacità di vedere il proprio dolore nel più ampio contesto delle esperienze dell'umanità, e come  parte di essa: è necessario che si tratti se stessi con la stessa benignità che il proprio Sé compassionevole offrirebbe agli altri (questa forma di comprensione è tratta dal buddismo, come probabilmente sapete). Ciò che è importante è che l’autocompassione non sia qualcosa come l’autocommiserazione, poiché quest’ultima si concentra su di sé come un Sé separato dagli altri, e promuove inoltre l’idea di un "povero me", un punto di vista che generalmente dipinge il Sé come peggio di chiunque altro, e che probabilmente porterebbe la stessa persona a rafforzare dentro di sé un processo di autoreferenzialità e di egoismo.
Neff descrive l’autocompassione come costituita da tre parti, che parafrasando lo stesso autore potremmo descrivere come:

·       estendere la gentilezza e la comprensione a se stessi, piuttosto che il giudizio critico;
·       vedere la propria esperienza come parte della più ampia esperienza umana;
·       mantenersi consapevoli dei propri sentimenti dolorosi, senza iperidentificarsi con essi.

Tuttavia, per le persone che hanno vissuto ripetute esperienze di abbandono e deprivazione emotiva genitoriale, non è semplice applicare tutti e tre questi passaggi, poiché il primo si basa sulla capacità di amare se stessi, cosa che in queste persone solitamente scarseggia, il secondo invece si basa sul mito per cui tutte le madri siano buone e amorevoli, cosa che fa sentire a queste persone un senso di isolamento e suggerisce di non credere che i loro problemi siano simili a quelli di altre persone; e infine, la maggior parte delle persone con un attaccamento insicuro hanno difficoltà a gestire le emozioni negative, cosa che rende loro molto difficile il terzo passaggio.
Per agevolare un lavoro di consapevolizzazione e di strutturazione della capacità di autocompassione  potrebbe essere utile, come strumento di introspezione e autoanalisi, il questionario di Neff (il cui focus riguarda “Come mi comporto tipicamente nei miei confronti nei momenti difficili”), una scala breve che valuta le proprie capacità quando si tratterebbe di essere autocompassionevoli. Si può rispondere alle affermazioni di questo questionario su una scala che va da 1 a 5, dove 1 corrisponde a “quasi mai”, e 5 a “quasi sempre”. Alla fine non è necessario valutare il punteggio globale del questionario, piuttosto riflettete sulle vostre risposte (per una valutazione si rimanda a un lavoro personale di psicoterapia, che sia accompagnato da un processo terapeutico più ampio).

1.quasi mai   2.un poco frequente   3.moderatamente frequente   4.molto frequente   5.quasi sempre

_____1. Quando non riesco in qualcosa che per me è importante vengo consumato da sentimenti di inadeguatezza.
_____2. Cerco di essere comprensivo e paziente verso quegli aspetti della mia personalità che non mi piacciono.
_____3. Quando accade qualcosa di doloroso cerco di farmi una visione equilibrata della situazione.
_____4. Quando mi sento giù, tendo a sentire come se la maggior parte delle altre persone sono probabilmente più felici di me.
_____5. Cerco di vedere i miei difetti come parte della condizione umana.
_____6. Quando sto attraversando un momento molto difficile, mi concedo la cura e la tenerezza che mi serve.
_____7. Quando qualcosa mi sconvolge cerco di tenere le mie emozioni in equilibrio.
_____8. Quando non riesco in qualcosa che è importante per me, tendo a sentirmi solo nel mio fallimento.
_____9. Quando mi sento giù tendo a ossessionarmi e a fissarmi su tutto ciò che è sbagliato.
_____10. Quando in qualche modo mi sento inadeguato, cerco di ricordare a me stesso che i sentimenti di inadeguatezza sono condivisi da una buona parte delle persone.
_____11. Sono disapprovante e giudicante al riguardo dei miei difetti e carenze.
_____12. Sono intollerante e impaziente verso quegli aspetti della mia personalità che non mi piacciono.

Poiché la ricerca mostra che l’autocompassione davvero aiuta le persone ad affrontare i tempi difficili e a diminuire o fermare il processo di rimuginazione (un’altra delle cose che spesso affliggono le persone che hanno vissuto esperienze di deprivazione emotiva o abbandono da parte dei genitori), come si potrebbe cercare di costruire questa capacità, così da usarla efficacemente per mettere a tacere o indebolire la voce interna autocritica?
Ecco a seguire alcuni suggerimenti aneddotici, un po' mediati e derivati da alcune tecniche psicoterapiche e da alcuni costrutti psicologici, e che potrebbero essere d’aiuto sulla strada per l’auto-compassione. Nel fare queste cose è importante sforzarsi di utilizzare una buona elaborazione percettiva, per cui si ricorderà il “perché” ci si è sentiti in un certo modo, e non il “come” ci si è sentiti: questo è importante poiché pensare al “come” fa rivivere il momento doloroso, e in relazione allo scopo che qua ci proponiamo sarebbe inopportuno  (diversamente dal contesto psicoterapeutico, in cui si dispone della mediazione attenta e qualificata di uno psicoterapeuta che può aiutare ad elaborare tutte le emozioni che dovessero emergere).

1. Procurati una tua foto di quando eri bambino/a e trascorri un po’ di tempo con essa.
Guarda quel bambino/a (tu) e vedilo/a come farebbe un estraneo. Che cosa vedi di simpatico e attirante in lui/lei?  Parla con quel bambino e forniscigli un qualche conforto. E mentre ti trovi lì, chiediti perché qualcuno potrebbe mai pensare che quel bambino fosse qualcosa di meno che adorabile.

2. Focalizzati su una cosa che ami di te.
Può essere una caratteristica, per esempio il modo in cui sorridi alle persone o li metti a loro agio, oppure un talento, una capacità, ma in ogni caso dovrebbe essere qualcosa di cui ti senti orgoglioso/a. Pensa al riguardo della voce critica e di come ignora le tue qualità positive. Anche scrivere qualcosa su di te seguendo questa procedura potrebbe essere utile.

3. Fai dell’auto-compassione un obiettivo.
Puoi applicarti attivamente per la realizzazione della tua autocompassione proprio come faresti per raggiungere qualsiasi altro importante obiettivo: prendi nota dei progressi che fai senza ripiegare al punto di vista autocritico e frustrante, e ricompensati piacevolmente per i tuoi successi, così che attui dei costruttivi rinforzi positivi per te stesso.

4. Chiediti: mostrerò a me stesso/a compassione?
Gli studi mostrano che, contrariamente alla credenza popolare, le affermazioni non motivano come le domande. Scrivi in un foglietto la domanda e appendilo in un posto dove lo puoi vedere facilmente e frequentemente. Ricorda a te stesso che questo è un processo da compiersi passo dopo passo, e che i piccoli passi vanno bene. Quello che importa è raggiungere l’autocompassione.  

In generale le ricerche in ambito psicologico hanno suggerito che l’autocompassione può essere un’utile strategia per la regolazione delle nostre emozioni e quietare la voce interna autocritica e frustrante. A volte il raggiungimento di questa capacità rappresenta il traguardo di un processo di crescita psicologica naturale, altre volte, quando le risorse di un individuo sono bloccate a causa di una costellazione di fattori psichici legati a una serie di antecedenti evolutivi sfavorevoli, potrebbe essere necessario un valido percorso di psicoterapia individuale.


Dott. Antonello Viola
Psicologo-Psicoterapeuta
Studio Psicoterapia e Consulenza Psicologica
Via Irlanda, 2  Quartu S. Elena (CA)
Cell. e whatsapp: 3200757817
email: antonello.viola@gmail.com

martedì 12 aprile 2016

BECK PROPONE UNA TEORIA INTEGRATIVA DELLA DEPRESSIONE

 

                                   Aaron Beck, il pioniere delle scienze cognitive


BECK PROPONE UNA TEORIA INTEGRATIVA DELLA DEPRESSIONE

In un nuovo articolo pubblicato su “Clinical Psychological Science”, Aaron Beck, il pioniere della scienza cognitiva che ha rivoluzionato la ricerca scientifica sulla depressione, e il suo collega Keith Bredemeier, dell’Università di Pennsylvania, mirano ad integrare i risultati ottenuti in una serie di importanti studi sulla depressione, per sviluppare un modello teorico globale e coerente del disturbo.
Con il loro modello unificato, Beck, James McKeen Cattell Fellow e Bredmeier, attingono dai risultati ottenuti a vari livelli di analisi in discipline diverse, tra cui cliniche, cognitive, biologiche e approcci evolutivi, e forniscono un quadro ampio che spiega la sintomatologia della depressione e il suo corso naturale, dalla sua insorgenza alla guarigione: “Tutte le scoperte e i risultati ottenuti in relazione alla depressione possono essere messi insieme per fornire un modello globale del disturbo che ne spiega le sue stupefacenti caratteristiche”, scrivono gli autori. Il loro modello unificato si basa sulla premessa che la depressione rappresenta un adattamento alla perdita percepita di risorse umane essenziali che consentono l'accesso ai bisogni della vita - tra cui la perdita di un membro della famiglia, un partner, o un gruppo di pari. Per le persone che sono più a rischio di grave depressione, a causa di fattori genetici o ambientali specifici, è più probabile che questa perdita sia percepita come devastante e insormontabile.
L’elevata reattività allo stress e le radicate distorsioni cognitive portano queste persone a rischio a coltivare convinzioni negative su se stesse, il mondo e il futuro, una combinazione che lo stesso Beck ha denominato “triade cognitiva negativa”. Una volta attivate (per esempio da eventi di vita stressanti), queste credenze innescano tutta una serie di emozioni ad esse coerenti, come la tristezza, l’anedonia, il senso di colpa, così pure come risposte comportamentali e fisiologiche come il ritiro, l’inattività, la perdita dell’appetito. La funzione generale di questo cosiddetto "programma della depressione", dicono gli autori, è quello di promuovere la conservazione d’energia, a fronte della perdita percepita di risorse. Nel corso del tempo, il “programma depressivo” rafforza le convinzioni negative, che prima di tutto mettono le stesse persone a rischio di depressione. Questo programma può essere fermato quando le risorse vitali vengono ripristinate, sia perché emergono nuove informazioni che correggono le distorsioni cognitive-pensieri negativi, o perché la situazione di per sé è cambiata. Fattori esterni come il sostegno di amici e familiari, la guida di uno psicoterapeuta, e il trattamento biologico (ad esempio i farmaci) possono aiutare a fermare il “ciclo della depressione”.
"Il nostro modello suggerisce che ogni intervento che ha come obbiettivo i fattori chiave che predispongono o che acuiscono, o i fattori di resilienza, può ridurre il rischio o alleviare i sintomi della depressione", spiegano Beck e Bredemeier.

venerdì 26 febbraio 2016

Nove caratteristiche delle personalità dipendenti

 





La personalità dipendente è caratterizzata da una serie di tratti che si estrinsecano come atteggiamenti e comportamenti frequentemente ricorrenti: di seguito vengono riportati quelli maggiormente caratteristici. 
Naturalmente ciò che distingue il livello di difficoltà nel funzionamento psicosociale è la frequenza della ricorrenza di questi tratti.


1. Le persone dipendenti hanno difficoltà a prendere decisioni nella quotidianità, senza sostegno e rassicurazione. 
2. Hanno bisogno degli altri per assumersi le responsabilità nella maggior parte delle aree della loro vita.
3. Hanno difficoltà a dissentire o esprimere un diniego senza sperimentare una notevole angoscia o paura.
4. Hanno una forte difficoltà a iniziare un progetto senza il sostegno o l'approvazione degli altri. 
5. Si sentono ansiose o stressate quando sono sole, o quando pensano di restare sole.
6. Si sentono frequentemente responsabili quando succedono cose negative. 
7. Sentono un forte carico di responsabilità per soddisfare le aspettative degli altri.
8. Hanno una forte necessità di essere validate e approvate dagli altri. 
9. Sono incapaci di creare o difendere i confini personali (confini del Sé, confini relazionali): spesso si coinvolgono in relazioni simbiotiche o invischiate, o sono incapaci di uscire da rapporti in cui subiscono maltrattamenti.

Ovviamente il dinamismo psichico della personalità dipendente è il prodotto di una struttura e organizzazione di personalità che si è costituita in relazione a una serie di antecedenti evolutivi, di eventi, di relazioni primarie e di fattori ambientali che hanno determinato lo sviluppo di una serie di schemi mentali disfunzionali e di nuclei complessuali che si pongono alla base del malessere e del disadattamento. 

 Anche nel caso della personalità dipendente, molto si può fare con la psicoterapia.


Studio Consulenza Psicologica e Psicoterapia
Dott. Antonello Viola
Cagliari - Via San Lucifero, 65
Quartu S. Elena - Via Irlanda, 2
Tel. 3200757817

 

Cinquanta gocce di saggezza per riscaldare la tua anima

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